A Bar Sicilia il futuro dello Sperone di Palermo con Di Bartolo e Carta ( Il Sicilia.it)
A Bar Sicilia si parla di Palermo e del futuro urbanistico e sociale di uno dei quartieri simbolo dell’abbandono delle periferie, lo Sperone, che già oggi ha intrapreso un percorso virtuoso di rinascita grazie all’impegno di chi lavora sul territorio, come la preside dell’Istituto comprensivo Sperone-Pertini Antonella Di Bartolo, e il professore universitario e prorettore dell’Ateneo di Palermo Maurizio Carta, esperto di urbanistica e rigenerazione urbana che ha sviluppato idee e prospettive di rinascita del quartiere. Ed è proprio alla scuola Sperone Pertini che viene ospitata la puntata numero 184 della trasmissione di approfondimento politico e di attualità, con il direttore responsabile de ilSicilia.it Manlio Melluso e il direttore editoriale Maurizio Scaglione che hanno fatto ‘incursione’ in diverse zone del quartiere per raccontarne lo stato attuale di abbandono di alcune zone e strutture e le possibili prospettive di evoluzione.
Con la preside Di Bartolo si parla del rapporto tra scuola e quartiere: “E’ fondamentale il lavoro con i bambini e le bambine e soprattutto con le famiglie – afferma la dirigente scolastica – Essere in dialogo con il quartiere vuol dire essere al servizio del quartiere stesso. La scuola non fornisce soltanto istruzione, è fatta per promuovere le potenzialità non solo delle persone, degli studenti e delle studentesse, ma per promuovere anche il territorio per il quale si mette al servizio. Per questo motivo è fondamentale che la scuola esca fuori dalle aule e che sia in perenne dialogo e rilancio delle potenzialità del quartiere, che merita attenzione, cura e amore“.
Maurizio Carta affronta la questione del rilancio del quartiere a partire da quella che è la visione originaria per il quale lo Sperone era stato pensato, che via via col tempo si è andata perdendo: “Vorrei invitare tutti noi a guardare con occhi diversi le periferie, luoghi dove alcune cose possono accadere, portatrici di molteplicità. Se pensiamo che stiamo guardando soltanto luoghi fragili in inevitabile declino, temo che l’unico modo per agire su questi luoghi sia la compassione, la necessità di dare servizi per rispondere a qualche bisogno. Se invece ne guardiamo le potenzialità cambia tutto. Se osserviamo lo Sperone con gli occhi dell’urbanistica e dell’architettura scopriamo che è un quartiere pensato per contenere famiglie e potere offrire educazione, per potere accogliere luoghi della produzione e dell’artigianato. Non è stato pensato per essere soltanto un luogo dove dormire e da dove andare via prima possibile. Se noi guardiamo i quartieri in questo modo, allora diventa una sfida affascinante da affrontare“.
Dopo avere visto le immagini di uno dei luoghi simbolo dell’abbandono dello Sperone, un centro per attività di quartiere ormai degradato, la preside Di Bartolo racconta quale è stato l’approccio per ridare nuove prospettive alla comunità senza limitarsi alla ‘caccia al colpevole’: “Le responsabilità sicuramente ci sono, sono sotto gli occhi di tutti. Il tema è però un altro – spiega –, noi a scuola non siamo abituati a cercare di ricostruire il percorso dei doveri che non sono stati rispettati. Abbiamo scelto un approccio diverso, domandandoci cosa ognuno di noi poteva fare in questo contesto certamente difficile. Abbiamo risposto credendoci, cercando di creare quel clima di condivisione e di impegno che fa la differenza. Bisogna saper ‘leggere’ talenti e intravedere vocazioni, non soltanto personali ma anche dei luoghi, e accompagnarle verso al fioritura. E’ ovvio che questo richiede un lavoro serio, costante, quotidiano. Qualcuno ha pensato di trattare lo Sperone come un tappeto sotto al quale mettere la polvere. Noi dobbiamo scuotere quel tappeto“.
Il professore Carta spiega come lo Sperone sia già un quartiere pronto per essere risorsa per la città e per la comunità: “Quante storie avrebbe potuto raccontare quella struttura che abbiamo visto? – si chiede riferendosi alle immagini del servizio sul centro di quartiere abbandonato –, quante occasioni di socialità avrebbe potuto contenere quel centro di comunità? Ripartiamo da quel progetto originario, ripartiamo dallo Sperone, dal grande piano di edilizia residenziale pubblica dell’Italia. Un piano pensato per dare non soltanto case alle persone, ma quartieri; per dare occasione di lavoro, per mettere insieme la casa e le attività produttive. Noi progettisti nelle periferie ci sforziamo di immaginare come portare il teatro, le attività sportive, le piccole attività artigianali, portando dei ‘luoghi’ che non esistono, perché in alcuni casi non ci sono le risorse strutturali. Allo Sperone questi luoghi li abbiamo già, sono quei luoghi come la struttura che abbiamo visto“.
Percorsi e iniziative di recupero dello Sperone e di riqualificazione urbana, sociale ed economica che sono stati già avviati, anche in condivisione con quartieri di altre città, come per esempio il 167 di Lecce, attraverso progetti di scambio artistico e culturale: “Sperone-167 è un progetto che desidera portare arte, bellezza e nuovo entusiasmo, sia del quartiere Sperone di Palermo che nel quartiere 167 di Lecce – spiega la preside Di Bartolo – Le teste pensanti sono tante: gli street artist Igor Scalisi Palminteri, palermitano, e Chekos, leccese. C’è l’intraprendenza di Danilo Alongi, sono coinvolte diverse associazioni e anche due istituti comprensivi, il nostro e uno leccese. C’è un gemellaggio di pratiche, di persone e di punti di vista, ma c’è soprattutto una condivisione dell’idea che la bellezza possa portare anche economia sana e che sulle buone pratiche e sull’entusiasmo dei ragazzi si possa puntare per far ripartire tutta la società che anima i quartieri“.
Su quale sarà il futuro urbanistico della città si concentra il libro di Maurizio Carta ‘Palermo: biografia progettuale di una città aumentata“, con 91 prototipi di evoluzioni possibili, progetti di conservazione, innovazione e trasformazione di alcune parti di città: “L’idea di città che sta dentro questo libro è questa: cosa tornerà ad essere lo Sperone per il resto della città, così come la Bandita, Settecannoli, Romagnolo, l’Uditore, San Filippo Neri… perché questa città deve essere una città che ha un centro denso, corposo, di qualità, ed è importante che l’abbia avuto, e un progressivo indebolimento delle sue qualità man mano che ci si sposta verso l’esterno? Una città così non può vivere. Sarebbe come un corpo che rende ipertrofico un organo e non fa lavorare gli altri, non funziona. Dobbiamo tornare a guardare l’intera città, senza dimenticare che siamo diventati una città metropolitana, e questa è una responsabilità. Significa cominciare a pensare che cosa Palermo può fare anche per gli altri comuni che compongono la Città Metropolitana, cominciando proprio dalle periferie, che non sono più elementi marginali del Comune ma sono cerniere tra capoluogo e Bagheria, Torretta, Monreale e gli altri comuni“.
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